“Runnegghiè” è il nuovo album di Alessio Bondì scava nel profondo una Sicilia ancestrale e selvaggia

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Cos’è la musica siciliana? Quali sono le radici profonde? Questo è il tormento, la ricerca, quasi la vocazione di Alessio Bondì che ha riversato, con tutto il suo fragore artistico, in “Runnegghiè”, il suo quarto lavoro in studio.

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Un disco che nasce da uno sguardo critico sulla musica popolare, dalla visione sulla tradizione come materia da studiare e rifondare di volta in volta, aperta alle diverse influenze, linguaggi, mode. Il popolare non è solo un insieme di note o di timbri ma uno spirito con cui si comunica: è una questione di appartenenza.

Da tempo, infatti, Alessio Bondì ha iniziato a cercare e ricercare, fino a quando non si è imbattuto negli archivi etnomusicologici e nei documenti sonori registrati nel secondo dopoguerra in quella Sicilia rurale che usava ancora la musica come verso animale, rito, preghiera e che da lì a poco sarebbe stata stroncata dalla contemporaneità.

Il “corpo a corpo” con questa materia ha scosso profondamente Bondì, che ha iniziato a impararne le modalità di canto, le scale e a trasformare la sua scrittura, il modo di arrangiare, lo sguardo sulla Sicilia, su sé stesso.

“Runnegghiè” (etichetta discografica Maia, distribuzione Ada Music Italy) è risultato di questa ricerca: un lavoro intimo e al contempo collettivo, un mondo sonoro fatto di estremi opposti, denso di violenza e dolcezze, con accenni e citazioni al mondo della tradizione, ripercorsi con sentimento contemporaneo, in cui il suono e l’immaginario dell’artista rappresentano la Sicilia contemporanea con la stessa forza con cui negli anni ’80 e ’90 Pino Daniele raccontavano Napoli al mondo.

Il disco, disponibile in digitale a partire da oggi, apre con “Tammuru” una processione militante e urbana, una sorta di danza macabra dentro una discoteca/camposanto che nasce dal senso di rivolta per la notizia del cosiddetto “stupro di Palermo”. In “Fiesta Nivura”Bondì canta la trasformazione profonda come l’esplosione di un corpo che deflagra a partire dalla lingua e dal cuore e si fa musica, estasi, rito. “Taddarita” (in dialetto palermitano significa “pipistrello”) è una ballata scritta in un momento irripetibile: “il mio primo nipotino era appena nato – racconta – ed io mi riapprocciavo ai miei ricordi d’infanzia colmo di gioia. Così è venuta fuori questa storia d’amore impossibile tra un volatile notturno e cieco ed una luce forte (un lampione? la luna?)”. Al termine della canzone, una filastrocca tradizionale, una sorta di formula magica che i contadini usavano per scacciare i pipistrelli con una canna.

“Santa Malatìa” è un brano dedicato alla Patrona di Palermo“il delirio e le invocazioni a Santa Rosalia attraversano tutta la notte. L’alba risolve la solitudine, il veleno rivela la sua cura e inizia una festa di paese scatenata, fatta di balli e follia collettiva”.  Satarè è il ritratto di un momento di grande euforia a cui, durante la prima estate pandemica, Alessio ha partecipato durante un festival.

“Vucca i l’arma”, una ballata scritta dopo la scomparsa della bisnonna Calaciura: “calaru i ciura, u cielu si stinciu”. Mi trovavo a Zurigo per un concerto quando appresi della sua dipartita e iniziai a scrivere, come preso dagli spiriti, sensazioni che con mia enorme sorpresa ho poi ritrovato tali e quali in libri che riguardano la magia popolare siciliana”. “Cascino” era nel dopoguerra uno dei quartieri più poveri e disagiati d’Europa e si trovava a Palermo. Era definito “il pozzo della morte” a causa dell’elevata mortalità infantile. Ben presto attirò l’attenzione mediatica anche grazie all’attività in loco del poeta e attivista Danilo Dolci. Il disco chiude con “Runnegghiè”  che si situa nel punto finale della parabola: quel momento sublime in cui non conta più chi si è individualmente ma soltanto disperdersi: nella Natura, nella Musica, nel Tutto, in un’estasi definitiva. 

Il disco, realizzato con il sostegno del MIC e di SIAE, nell’ambito del programma “Per chi crea”, è prodotto artisticamente e mixato da Fabio Rizzo. Il mastering è a cura di Pablo Schuller; l’artwork e di Francesco De Grandi e Federico Lupo.

Alessio Bondì (chitarra classica e voce), è stato affiancato da Fabio Rizzo (chitarra palermitana, baglama saz, cori), Aki Spadaro (consulenza armonica, synth, cori), Donato Di Trapani (elettronica, synth), Carmelo Drago (basso elettrico, synth bass), Carmelo Graceffa (batteria rituale), Giovanni Parrinello (tamburi a cornice) e Federica Greco (cori, fischi).

 

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